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lunedì 27 agosto 2012

Gomorra, un viaggio nei meandri della camorra


L’altra sera, senza sapere neanche come, mi sono trovata a discutere con degli amici sul film “Gomorra”.
Ora, per quei pochi che non lo sapessero Gomorra è un film diretto da Matteo Garrone, che si è basato sul best-seller di Roberto Saviano: Gomorra, e ancora per quei pochi che non lo sapessero, Il libro è un viaggio nel terribile e criminale mondo della camorra e dei luoghi dove questa è nata e vive. Il libro si basa principalmente su esperienze di vita propria dello scrittore (come per esempio quando ad un certo punto si parla  di un abito realizzato per Angelina Jolie in una fabbrica dell'interland nord di Napoli, dove lo dichiara espressamente in un breve estratto del libro: “Pasquale mi iniziò al complicato mondo dei tessuti. Avevo cominciato anche a frequentare casa sua […]. Pasquale aveva acceso la televisione, cambiando i vari canali era rimasto immobile davanti allo schermo, aveva strizzato gli occhi sull'immagine come un miope, anche se ci vedeva benissimo […]. In tv Angelina Jolie calpestava la passerella della notte degli Oscar indossando un completo di raso bianco, bellissimo [...]. Quel vestito l'aveva cucito Pasquale in una fabbrica in nero ad Arzano. Gli avevano detto solo: 'Questo va in America' […] Si ricordava bene quel tailleur bianco. Si ricordava ancora le misure, tutte le misure […]. Non avrebbe potuto dirlo a nessuno […]. Non poteva dire: 'Questo vestito l'ho fatto io'. Nessuno avrebbe ceduto ad una cosa del genere. La notte degli Oscar, Angelina Jolie indossa un vestito fatto ad Arzano da Pasquale. Il massimo ed il minimo.” ), atti processuali e sulle indagini della polizia.
Numerose sono state le collaborazioni di Savaino con le più importanti testate giornalistiche italiane ed internazionali. Attualmente in Italia collabora con L’espresso e La Repubblica, negli Stati Uniti con il Washington Post, il New York Times e il Time, in Spagna con El Pais, in Germania con Die Zeit e Der Spieghel, in Svezia con Expressen e in Gran Bretagna con il Times. A causa del successo ottenuto da  Gomorra Saviano ha avuto diverse ripercussioni sulla sua vita privata:  ricevendo lettere minatorie, telefonate mute e, sopra ogni altra cosa, una sorta di “isolamento ambientale”.
A causa delle minacce ed intimidazioni subite, l'allora Ministro dell’Interno Giuliano Amato, decise di assegnargli una scorta per motivi di sicurezza il 13 ottobre 2006 .
Il 14 ottobre 2008 arrivò la notizia di un attentato nei confronti dello scrittore: un ispettore di Polizia della DIA informò la direzione distrettuale antimafia di essere venuto a conoscenza, dal pentito Carmine Schiavone, di un piano per uccidere lo scrittore e gli uomini della scorta entro Natale con un attentato sull'autostrada Roma-Napoli. Tuttavia, Carmine Schiavone smentì di essere a conoscenza di un piano dei Casalesi per uccidere Saviano, provocando l'immediata risposta dello scrittore: "È ovvio che lo dica; se lo dicesse, implicitamente dovrebbe ammettere di avere ancora rapporti con la criminalità organizzata". Tuttavia .Carmine Schiavone, pur negando di sapere dell'attentato, ha confermato che Saviano è stato condannato a morte dal clan dei casalesi.
Nel 2008 Saviano decise di lasciare il paese in seguito alle minacce, confermate da informative e dichiarazioni di collaboratori di giustizia, che svelarono il progetto di eliminarlo da parte del clan dei Casalesi.
Ora, tornando finalmente al film, che parla per’appunto  di ville sfarzose di boss malavitosi create a immagine e somiglianza di quelle di Hollywood, di campagne pregne di rifiuti tossici smaltiti per conto di mezza Europa, di una parte di popolazione che non solo convive  con questa “realtà”, ma addirittura la difende e ne approva l'operato. Il film racconta di un “Sistema” (questo il nome usato per riferirsi alla camorra) che adesca reclute non ancora adolescenti,
dei bambini, facendo loro credere che la loro sia l'unica possibilità di vita, bambini convinti che l'unico modo di morire e vivere come un uomo vero sia quello di morire ammazzati, di imbracciare pistole e armi, come nella storia di Marco e Ciro, detto Pisellìno 
i quali sono due giovani delinquenti che decidono di alzare la posta: cominciano così attività illecite in proprio; prima rubano della droga ad un gruppo di extracomunitari, quindi arrivano a rubare delle armi in un deposito della camorra, compiendo anche rapine. Dopo aver ignorato i primi avvisi di minacce, i due vengono attirati in un desolato tratto del litorale domizio. Lì vegono uccisi brutalmente, ed i loro corpi fatti sparire, sotterrati con una ruspa.
La pellicola racconta di un fenomeno malavitoso che viene influenzato dalla spettacolarizzazione mediatica, in cui i boss si ispirano negli abiti e nelle movenze ai divi del cinema.
Un particolare interessante del film è il linguaggio in cui gli attori si cimentano: curato con estremo realismo.
Con sconcertante semplicità dialettica si prendono le decisioni su chi ammazzare e non esistono sfumature. O si è da una parte, o dall'altra, o dentro o fuori.
Per far comprendere meglio il linguaggio del film poi, la pellicola viene sotto intitolata: i sottotitoli infatti rappresentano un'italianizzazione di espressioni dialettali napoletane.
Per quanto riguarda l’ambientazione, Nel film sono presenti molti luoghi fatiscenti, quasi “astratti”, se così si può dire.
Gli interni, pur essendo poveri, mostrano la predilezione per l’arredamento vistoso: per esempio, nel film si vede un trasloco nel quale vengono spostati una poltrona dorata in velluto viola e molti altri oggetti vistosi.
In fine mi sento di affermare che, nonostante i casi mediatici in cui in seguito è stato implicato il film (come il caso di Bernardino Terracciano, interprete di “Zi' Bernardino”, che fu arrestato in seguito per favoreggiamento, estorsione e detenzione abusiva di armi da fuoco, il quale fu seguito poi da Salvatore Fabbricino, che interpretò uno dei tanti camorristi nel film, e Giovanni Venosa, che interpretò un capoclan), la storia che racconta il film rimane comunque quella che è: una storia vera che parla di verità.


Voto:
4/5

martedì 21 agosto 2012

Orgoglio e Pregiudizio 2005

Nell'Inghilterra di fine settecento un giovane aristocratico, Charles Bingley, affitta la tenuta vicina a quella della famiglia Bennet, a cui non mancano delle figlie da maritare (come troppo spesso fa notare la signora Bennet). Una sera, durante un ballo, Bingley fa il suo ingresso nella sala, accompagnato dall'altezzosa, irritante sorella e dal bello quanto ombroso e presuntuoso Signor Darcy. Quella sera Bingley si innamora perdutamente della primogenita dei Bennet, la timida e placida Jane, un amore a prima vista che ci si aspetterebbe anche per Darcy e la secondogenita delle Bennet: Lizzie, se non fosse per la loro indole ribelle e poco incline al confronto. Troppo orgogliosa lei, troppo precluso lui. E da qui la storia la sanno quasi tutti.

Corre voce che Jane Austen non scrivesse i suoi romanzi nella tranquillità e silenzio di uno studio, ma in un soggiorno ricolmo di baccano, immersa nella vita quotidiana della sua numerosa famiglia. Energica, numerosa e rumorosa è anche la vita della famiglia Bennet: fra attacchi di nervi e trappole matrimoniali – entrambi personificati dalla chiassosa Mrs. Bennet – (una meravigliosa Brenda Blethyn, perfetta nel ruolo di madre afflitta dall'ansia di accasare tutte e cinque le figlie).

E a Mr. Bennet (un Donald Sutherland così simile al personaggio del romanzo da far meravigliare anche i più scettici).
Questo film non esprime la passione e il sentimento attraverso parole strappalacrime, scene memorabili o baci mozzafiato. Vedere Orgoglio e Pregiudizio solo una volta non è certo sufficiente per addentrarsi nel livello più profondo del film, quello di un amore che nasce e si sviluppa gradualmente.
Ammetto che ho letto un'infinità di volte “Orgoglio e Pregiudizio”, poiché la lettura, per me, è l'unica cosa che riesce a stare sullo stesso livello del cinema. Mi piace leggere. Mi piace così tanto che spesso, sono stata capace di leggere 500 pagine di un libro in una sola notte, come ad esempio ho fatto con CRYPTO, (primo romanzo thriller di Dan Brown, scritto nel 1998 e pubblicato in Italia il 27 giugno 2006), della lunghezza di 425 pagine.
Ma, tornando alla pellicola, trovo che sia fatta, costruita e montata, in modo molto più che eccellente.
Trovo che sia il film che meglio esprima la vera anima del libro, con tutte le sue pause e riflessioni.
Tutto della storia riporta inevitabilmente all'Ingilterra rurale di fine settecento, in modo molto superiore rispetto alla versione del 1940, o ancora rispetto alla serie televisiva del 1995. E anche se Matthew Mcfayden impersona un Darcy più insicuro e ombroso che arrogante e altezzoso, come lo vuole la Austen, l'ho trovato molto più simile al personaggio rispetto agli altri attori che l'avevano impersonato.
 Anche Keira Knightley l'ho trovata molto più adatta rispetto alle precedenti, e azzeccatissima per il ruolo della frizzante,furba e ironica Lizzie.
 Secondo certa critica il regista Joe Wright è stato troppo frettoloso e non ha dato spazio alla psicologia dei personaggi. Ma nonostante io trovi quest'accusa infondata, c'è da porsi una domanda: non è forse evidente che in un romanzo c'è molta più opportunità di dar voce ai sentimenti, alle emozioni, e alla stessa psicologia dei personaggi? Specialmente in quelli della Austen, dove ne vengono riempite dalla stessa scrittrice pagine e pagine?
In un film, dove il tempo è ridotto, quando la voce narrante viene a mancare e dove i personaggi si trovano a “presentarsi” mentre sono in azione, è ovvio che si punta tutto sulla capacità espressiva degli attori che sul resto. I quali, se bravi, possono anche sopperire alla descrizione dei processi psicologici dei personaggi che interpretano.
Inoltre anche la scenografia, spettacolare a mio modesto parere, rende bene il tormento dei personaggi (come, nella prima dichiarazione di Darcy, che viene fatta sotto la pioggia... molto bella, romantica, a tratti passionale, e suggestiva).
Infine, a parer mio, rispetto alle precedenti versioni che sono state create, quest'ultima è la più coinvolgente, romantica ed emozionante che sia stata mai creata.
La ciliegina sulla torta? La meravigliosa, finale, dichiarazione di Darcy: “mi avete stregato anima e corpo e vi amo, vi amo, vi amo...” Una battuta che fa emozionare a tal punto lo spettatore che egli rimarrà a bocca aperta.


La scena finale poi è meravigliosa, molto meglio dell'attesissimo bacio, (che comunque è stato aggiunto come finale alternativo nella versione DVD)

con Lizzie che bacia la mano a Darcy con la luce del sole che fa da sfondo creando un meraviglioso spettacolo di luci e ombre. Magnifico.
In conclusione, un film magico che, a mio parere, appassionerà anche i meno romantici del mondo.



Voto:
4/5


venerdì 17 agosto 2012

La tigre e la neve di Benigni: le facce dell'amore

Stroncato da “un certo tipo” di critica, quella politicizzata, che in Italia è fatta di destra e di sinistra, (e a questo punto aggiungo che, a mio parere, non riesco proprio a capire certi atteggiamenti della critica quando delle volte applaude film, sempre a mio avviso, del tutto insignificanti, e altre volte discrimina pellicole eccelse come questa) ma a ragion veduta acclamato dal pubblico.
Attilio è un poeta che costantemente ogni notte sogna di sposare la sua amata, Vittoria, che nella realtà lo rifiuta di continuo e lo sfugge. Quando lei, partita per un'intervista al più importante poeta iracheno rientrato in patria in prossimità della guerra, verrà gravemente ferita, Attilio la raggiungerà in fretta e farà di tutto per salvarla. Non ci saranno ostacoli che potranno fermarlo nel tentativo di farla sopravvivere: dalla mancanza di medicinali (in quel luogo non esistono farmacie a portata di mano) al posto di blocco in cui verrà ritenuto un terrorista.

È una storia d'amore quella che Benigni ci propone questa volta, un amore con la A maiuscola. Quell'amore che porta la vita al suo massimo splendore. Il regista e attore toscano non ci offre un film “comico”, anche se non mancano gag esilaranti, ma una riflessione poetica sul bisogno di speranza che il mondo odierno nutre, anche quando il cinismo domina su larga scala.
C'è chi crede di aver arti così grandi da poter abbracciare il mondo, ma in realtà ha braccia così troppo corte anche solo per accogliere un amico. L'Attilio di Benigni è esattamente l'opposto, e abbraccia tutti, senza distinzioni, facendo comprendere che anche nel grigio mondo di oggi non tutto è perduto, ma per salvarsi bisogna fare le azioni concrete, e non dare aria solo alla bocca.

Sono fortemente sicura che questo film piacerà a tutti, anche se a livelli diversi: ci saranno quelli che scorgeranno Montale e Ungaretti fra i vari personaggi (solo per citarne alcuni), sorridendo appena con un po' di aria di superiorità per chi ha frequentato le “scuole alte”, e alle anime libere, che magari non conoscono la poesia, ma la vivono ogni singolo secondo di ogni singolo giorno della loro vita.
Il film custodisce una di quelle storie che emoziona, che ti spacca il cuore, che fa sognare, meravigliare e rimanere con il fiato sospeso, utilizzando lo stesso rigore emozionale de “La vita è bella”: alterna momenti di umorismo e di dramma, facendo anche spesso dell’umorismo sul dramma.

E’ un film che sostanzialmente parla d’amore, nel modo più profondo, quello vero, non fatto solo di parole eclatanti, ma di gesti concreti: Attilio fa di tutto per la sua amata, dai piccoli gesti, semplici ma dolcissimi, al rischiare la vita per salvarla.

Perché non è detto che il romanticismo e l'amore si dimostrano con le parole, ma con i fatti, le azioni, quelle vere.
Per esempio Shakespeare, che è il simbolo del poeta romantico per eccellenza, che parla quasi sempre d'amore nelle sue opere, per alcuni studiosi pare che non sia stato altrettanto “romantico” con sua moglie.
Per carità, sono soltanto speculazioni e nulla di fatto, poiché la scarsità di documenti rinvenuti che riguardano la sua vita privata ha fatto sorgere numerose riflessioni riguardo al suo vero aspetto fisico, alla sua sessualità, alla sua religione e persino all'attribuzione delle sue opere.
Sta di fatto però che William Shakespeare e sua moglie Anne Hathaway, per la maggior parte della loro vita matrimoniale, lui visse quasi sempre a Londra, scrivendo e recitando le proprie opere, mentre lei rimase stabilmente a Stratford.
Quindi, alla luce di queste personalissime riflessioni sostengo che se qualcuno mi dovesse chiedere cos'è l'amore, io risponderei che è questo: non è passione, non solo, perché quella parte rispecchia soltanto l'un percento di quello che è l'amore, amare è entrare in una dimensione diversa, del tutto nuova, cambiare orbita e pianeta.

Significa spostare il centro della nostra vita e orbitare attorno ad un nuovo punto. Il nostro pensiero si concentra e rischiara un’unica figura: quella dell'altro, e il resto rimane sullo sfondo, offuscato, come un paesaggio indistinto. Non c'è nient'altro se non quello, se non il benessere dell'altro. Questa figura, questo bisogno, si sovrappone a tutte le altre cose, è presente dappertutto, in ogni singolo istante.
Ed è questo che racconta la pellicola. Esattamente questo.


Ricordo un monologo del film in cui Benigni dice disperato, perché la sua amata rischia la vita:
"E dai, trovamela questa glicerina, perché se non me la trovi quella muore... quella muore proprio... e se muore lei, per me tutta questa messa in scena del mondo che gira... possono anche smontare, portare via, schiodare tutto, arrotolare tutto il cielo e caricarlo su un camion col rimorchio, possiamo spegnere questa luce bellissima del Sole che mi piace tanto... ma tanto... lo sai perché mi piace tanto? Perché mi piace lei illuminata dalla luce del sole, tanto... portar via tutto questo tappeto, queste colonne, questo palazzo... la sabbia, il vento, le rane, i cocomeri maturi, la grandine, le sette del pomeriggio, maggio, giugno, luglio, il basilico, le api, il mare...".
Ecco, se dovrei descrivere cos'è l'amore, direi che è questo.



Voto:
5/5

mercoledì 8 agosto 2012

Star Wars: la storia dietro la storia.

Tra i tanti film che mi hanno sempre affascinata Guerre Stellari è senz'altro uno tra i primi.
Sono fortemente convinta che la passione che ho per i film e, in special modo, per il cinema si è fondamentalmente radicata nel mio DNA prima ancora che si potessero strutturare i miei caratteri somatici, ma ho intuito di essere una cinefila convinta soltanto quando ho guardato per la prima volta Guerre Stellari. Non ero ancora nata quando l'hanno dato per la prima volta nei cinema, ma non potrò mai dimenticare l'entusiasmo che mi avvolgeva quando, da bambina, una volta spente le luci del salone di casa e sedutami comodamente sul divano, iniziava il film con il famoso incipit: “tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana...

Come si sa, l'idea originaria di George Lucas era quella di un film d'avventura fantascientifico.
Con questo progetto, insieme al produttore Gary Kurtz, tentò di acquistare i diritti della serie Flash Gordon, per produrne un remake, ma l'alto costo di diritti e il troppo controllo creativo che pretendevano i detentori, costrinsero il regista ad abbandonare il progetto.

Ma Lucas non si arrese, iniziando poi a scrivere una sceneggiatura completamente scritta di suo pugno, ispirandosi a diversi generi letterali e cinematografici, come i western, i telefilm seriali, le opere del regista Akira Kurosawa, riferimenti ai serial degli anni trenta in generale e in fine alla mitologia classica.
In seguito, nel 1974, ampliò la bozza della sceneggiatura, che comprendeva già elementi come i Sith, la Morte Nera e un giovane protagonista chiamato Annikin Starkiller. Nella seconda versione della bozza, il regista semplificò la storia e introdusse l'eroe proveniente da una fattoria, cambiandone il nome in Luke. Il padre del protagonista era ancora un personaggio presente nella storia, e la Forza si era trasformata in un potere sovrannaturale.
 Nella versione successiva venne eliminato il personaggio del padre, che venne sostituito con un sostituto: Ben Kenobi.
Nel 1976 venne preparata una quarta bozza per le riprese e il film venne intitolato “Le avventure di Luke Starkiller, come narrate nel Giornale dei Whills, Saga I: Le Guerre stellari. Durante la produzione, Lucas cambiò il cognome di Luke in Skywalker e modificò il titolo in “Star Wars”.
La gente chiedeva, 'tra tanti soggetti, perché scegliere proprio quello?' e io dicevo: 'beh, è bello fare film per i giovani, voglio parlare alla loro immaginazione'. Questo è il mio intento”. Racconta Lucas riguardo alla pellicola.
Il progetto per il film fu presentato sia alla Universal che alla United Artists, ma entrambe bocciarono subito la pellicola. Solo la 20th Century Fox l'approvò, ma solo grazie all'intervento di Alan Ladd, all'epoca direttore creativo.

 Con l'accordo preliminare in tasca, nel 1974 Lucas iniziò a rifinire il copione e la sceneggiatura:
Diventò un copione molto corposo, quasi duecento pagine. La storia mi aveva preso la mano, dovetti scendere ad un compromesso e dissi: 'ne prenderò un terzo, il primo atto, e ne farò un film. Ma avevo scritto tanto, avevo passato un anno a scrivere la storia, e mi dissi che non volevo buttare due terzi di un anno perché non potevo permettermi altro, solo perché mi davano i soldi solo per un film, perciò lo misi da parte e dissi: 'costi quello che costi, finirò questo film'”.
Per realizzare concretamente il progetto e conquistare il consiglio di amministrazione delle Fox, Lucas ingaggiò l'artista concettuale Ralph McQuarry, che creò delle immagini spettacolari, le quali conquistarono il consiglio di amministrazione che approvò un budget di 8, 250, 000 milioni di dollari.
 
Una volta concluso il contratto Lucas andò alla ricerca degli attori che avrebbero dovuto prendere parte al film, accompagnato dal suo amico Braian Depalma, che cercava anche lui attori per “Carrie”, un horror di Stephen King. Il regista ci mise sette mesi per completare il casting di Star Wars.
Per il ruolo di Luke Lucas voleva un uomo che esprimesse intelligenza e integrità morale,

così venne scelto Mark Hamill, il quale rammenta divertito: “ricordo una battuta del provino che non dimenticherò mai. Luke dice: 'non possiamo tornare indietro, la paura è la loro più grande difesa, la sorveglianza li non può essere più stretta che su Aquali o Solust, e forse è diretta ad un assalto su larga scala.' Ho letto la battuta e ho pensato: 'ma chi parla così?' Ma l'ho recitata con intensità”.
Per il ruolo di Han Solo invece ci voleva una persona più grande e decisamente molto più cinica. Harrison Ford sembrava perfetto per la parte, ma avendo già lavorato in “American Graffiti”, e dato che Lucas pretendeva per il suo film volti del tutto ignoti nel mondo del cinema, fu solo preso per dare la battuta agli attori nei provini.

Mi diedero le parti e mi chiesero se volevo aiutare gli altri attori a recitarle. Il mio compito era di spiegare ai vari attori che provavano quale era la loro parte, e qual'era il senso della battuta che dovevano dire”, spiegherà in seguito lo stesso Ford.
Ma non passò molto tempo che Lucas rimase affascinato dall'interpretazione dell'attore, che diede a Han Solo un misto di spavalderia mercenaria e noia di vivere.

La parte della principessa Leia, un personaggio che pur avendo la stessa età del protagonista era molto più matura, venne data Carrie Fisher, a patto che andasse in una clinica specializzata per dimagrire di cinque chili.

Nel ruolo di Obi-Wan Kenobi invece il regista volle scritturare una star affermata, e scelse Alec Guinness, (oscar al miglior attore nel film “Il ponte sul fiume Kwai”).
In seguito, per il ruolo chiave di Dart Fener, in cui occorreva un fisico forte e imponente, venne scelto il sollevatore di pesi massimi David Prowse.


Chewbecca invece venne interpretato dall'altissimo Peter Mayhew (la sua altezza era di 2 metri e 21cm). 
 
Trovare gli interpreti giusti per i robot invece non fu semplice: per i androidi C3PO e R2D2 (Che nella versione italiana della serie originale, R2-D2 era stato ribattezzato in sede di doppiaggio in C1-P8 mentre C-3PO aveva preso il nome di D-3BO. Forse ciò è dovuto al fatto che abbiano ipoteticamente cambiato codice dalla fine del terzo episodio), ci vollero attori in carne ed ossa.
Per le parti vennero scelti gli attori Kenny Baker (perfetto nella parte di R2D2, con i suoi 112 cm di altezza) e Anthony Daniels.

Per supervisionare gli effetti sonori di “Una nuova speranza”, Lucas ingaggiò Ben Burtt, il cui lavoro fu talmente all'avanguardia che l'Academy gli conferì uno speciale riconoscimento. La Lucasfilm sviluppò poi il sistema audio THX per il film “Il ritorno del Jedi”, primissimo film ad essere presentato con questo sistema sonoro.
Mentre, per quanto riguarda gli aspetti tecnici, tutti i film della serie vennero girati con un aspect ratio (cioè il rapporto d'aspetto matematico che indica la larghezza e l'altezza dell'immagine) di 2.35:1.
Dopo aver scoperto che il settore della 20th Century Fox dedicato agli effetti speciali era stato fatto smantellare (in parte per gli alti costi, e in parte perché il gusto e la cultura cinematografica in generale si indirizzavano verso film essenzialmente realistici), Lucas fondò la “Industrial Light & Magic”.

Per la creazione di molti degli effetti visivi venne utilizzato il Motion control photography, con il quale si poté creare l'illusione che faceva credere grandi oggetti di piccole dimensioni tramite l'uso di modellini e di telecamere molto lente. I modelli delle astronavi vennero creati in base ai disegni di Joe Johnston e colorati da McQuarry.  
Quando le riprese iniziarono nel deserto della Tunisia per le scene sul pianeta Tatooine, il cast dovette affrontare diversi problemi, tra i quali il peggior temporale che ci fosse mai stato in Tunisia, il malfunzionamento del materiale e il guasto dei dispositivi elettronici.
Dopo le riprese in Tunisia, lo staff si spostò agli Elstree Studios (Londra) per girare gli interni. Qui i problemi non mancarono: le rigide norme sindacali inglesi imponevano a Lucas di dover cessare le riprese alle 17:30, il regista poteva chiedere alla troupe un altro quarto d'ora, ma gli venne sempre negato. Un altro problema era lo scarso interesse da parte del cast nei confronti del film: in molti infatti lo consideravano un “film per bambini”.
 Lo stesso Kenny Baker, (R2-D2), confessò di aver pensato che il film potesse essere un fallimento.
C'era una principessa con delle strane crocchie nei capelli e un gigante vestito da scimmia. Era buffo davvero, molto, molto buffo”. Ricorda poi in seguito Harrison Ford.

Ford criticò anche i dialoghi dei personaggi dicendo a Lucas: “Puoi mettere questa merda nei copioni, George, ma sono sicuro che tu non riusciresti mai a parlare così.”

La produzione del film divenne così stressante per Lucas che ad un certo punto ebbe un infarto e i medici gli diagnosticarono un'ipertensione ed un esaurimento nervoso dovuto ad uno stress eccessivo.
Un altro problema fu quello delle voci dei personaggi e gli effetti sonori. Il sound designer Ben Burtt si occupò di questo, creando quella che venne poi definita da Lucas stesso la "colonna sonora organica".

Per i rumori delle pistole blaster utilizzò un misto tra diversi rumori metallici tra i quali delle funi. Per la voce di Chewbecca miscelò i versi di diversi animali come orsi, leoni, cani, e tigri. Per R2D2, Lucas e Burtt crearono i suoi "bip" registrando le proprie voci grazie ad un sintetizzatore elettronico. Per Fener, Lucas utilizzò la voce di James Earl Jones, che era caratterizzato da una voce profonda ed autoritaria.
 
Le riprese del primo film iniziarono il 22 marzo 1976 e terminarono il 16 luglio 1976.
All'uscita del film nessuno voleva programmarlo, e solo quaranta sale accettarono di programmarlo.

Alla vigilia del debutto nelle sale del film, Giorg Lucas, gli attori e tutto lo staff, si strinsero aspettandosi il peggio.
Ma comunque sarebbe andata a finire, il 25 maggio del 1977, sarebbe stata una data memorabile nella storia del cinema.


Fu un successo.
Non avevo mai visto effetti speciali così reali. Rimasi a bocca aperta”, commenterà in seguito il cineasta Steven Spielberg.
I film di Star Wars sono stati quelli che hanno aperto la strada alla nuova tecnologia, cambiando radicalmente il modo stesso di fare cinema.


Nel1978 la pellicola vinse numerosi Premi Oscar: alla Migliore scenografia a John Barry, Norman Reynolds, Leslie Dilley e Roger Christian. Migliori costumi a John Mollo. Miglior effetti speciali a John Dykstra, Richard Edkund, Grant McCune, Robert Blalack e John Stears. Miglior montaggio a Marcia Lucas, Tichard Chew e Paul Hirsch. Migliore colonna sonora a John Williams. Miglior sonoro a Don MacDougall, Ray West, Bob Minkler, Derek Ball, e uno Special Achievement Award a Ben Burtt. E questo solo per il primo film.
Niente male, per quello che doveva essere un “film per bambini”.